Appunti di fotografia in volo
«A quasi 150 anni da quando Nadar, nel 1858, scattò la prima fotografia aerea della storia da un pallone aerostatico su
parco di Bois de Boulogne di Parigi, mi ritrovo, ormai da vent’anni, a censire l’Italia con riprese a “volo d’uccello”.
Un lavoro,
quello della fotografia aerea, iniziato per curiosità, per cercare di dare completezza alla documentazione sul patrimonio artistico, che
già svolgevo da terra da alcuni anni. Una curiosità che ha trovato soddisfazione nel vedere colte e risolte le interrogazioni che una…
“architettura camminata”, così come l’ha definita Le Corbusier nel 1943 parlando con degli studenti di New York, non poteva dare.
Così è nata in me la voglia di “volare l’architettura”, un’espressione questa che può aiutare a meglio comprendere il significato di nuove, più ampie ed inedite
conoscenze su quanto costruito ed urbanizzato. E’ stato come procedere ad una forzata caccia al tesoro; forzata perché fortemente voluta, e caccia al tesoro perché è
stato come trovare, scoprire, “possedere” realtà ed emozioni frutto del genio, dell’arte di singoli e di comunità che hanno reso l’Italia quello scrigno di tesori che è.
Un tipo di riprese, per quanto mi riguarda, in gran parte “inventato” perché non esistono scuole in proposito e la bibliografia è, tranne in qualche rara eccezione, pressochè inesistente; un lavoro costruito sulle intuizioni, sulle prove e… sugli errori. Un’esperienza che si è maturata nel tempo, nella ricerca del tipo di foto da realizzare, degli aeromobili più adatti, dell’attrezzatura più idonea, delle pellicole e dei sensori digitali che restituissero con maggiore fedeltà le geometrie, i colori e le diverse profondità.
Quale tipo di ripresa dunque?
Non certo quella a 90° o zenitale, sia perché largamente disponibile, sia perché non in grado di fornire quelle informazioni visive relative alle profondità, alle
prospettive del… “costruito” fotografato in relazione alle dinamiche volumetriche dello stesso, sia in relazione ai “rapporti urbani” più generali.
Quindi la ricerca del grado di ripresa più idoneo si è sviluppata fino a trovare un punto di equilibrio intorno ai 45° di inclinazione rispetto al terreno.
Un tipo di ripresa che permette di “vedere” cosa c’è sotto i tetti, che rileva la struttura delle facciate, che propone le armonie o disarmonie dei vuoti e dei
pieni, che relaziona prospetticamente l’ “ architettura nobile “ con l’ “architettura umile”. Un tipo di fotografia, quello a 45°, che deve necessariamente tener conto della luce.
Sì, perché la luce disegna le architetture, le scopre o le esalta a seconda delle stagioni o dell’ora della giornata. Per cui un complesso monumentale, per poterlo rendere nella sua completezza, deve essere fotografato in stagioni diverse, (sia per la diversa inclinazione del sole all’orizzonte, sia per la foliazione che può impedire certe viste) ed in ore diverse, perché, a solo titolo di esempio, la luce del mattino consente di dare volume all’abside di una chiesa romanica e la luce del tramonto alla facciata della stessa. Grande attenzione deve poi essere riservata al parallelismo che si deve creare tra l’apparecchio fotografico e l’orizzonte.»
Basilio Rodella